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La poesia è accogliente, è un luogo che
uno, a pensarci bene e senza troppo metter di riflessione, potrebbe
costruirci un capanno o una montagna di fascine a modo di tettoia
sotto cui ripararsi.
La poesia è una madre che si offre tenera a tutti ma, badate, è una
madre feroce che con il tempo divora i suoi figli e fa pagare la
loro impudicizia. Vedremo quale sorte accompagnerà il virgulto
Riccardo Maria Gradassi da Montefalco, provincia di Perugia.
Il giovane poeta ha scritto questo libro sfruttando ampiamente un
proprio “metodo” poetico che sembra riassumere l’esperienza stessa
della lirica: trattasi di uno schakeramento tra ragione ed istinto
(i due motori che muovono il dettato lirico) che conducono nei
pressi di uno stato meditativo che, però, fallisce ogni tentativo di
scardinare il reale e schianta contro il “mistero”.
Incuriositi da questo “progetto” leggiamo i risultati sulla carta: a
volte irrisolti, incerti, a tratti suggestivi (specie quando la
parola si fonde con la natura facendosi selva dentro selva frondosa
di concetti: “L’animale naturale che vive / sotto le stelle: la
legge dell’istinto / domina: la natura non ha pietà”).
Stravagante questo autore che sembra non aver passato il fronte
della coppia di centravanti del primo Novecento Pascoli – D’Annunzio
e che trova la sua misura ideale nel cammeo, nel lieve arabesco di
parole. La poesia sceglierà come un clamoroso Giudizio Universale
chi starà tra i giusti e chi tra i peccatori.
Anno 2 Numero 19 di Sabato 10 Maggio 2003
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